Richiusa parentesi

Restare sospesi nel presente. In quell’istante infinitesimale che sta tra il tac e tac del pendolo. Nell’attimo sublime che non è più sogno e non ancora ricordo, né speranza o nostalgia. Il momento effimero in cui si vive senza guardarsi attraverso le lenti deformanti della memoria o della fantasia. L’inafferrabile niente di tempo che solo il viaggio può dilatare fino a renderlo comprensibile.
Liberi da tutti i prima e i poi, da tutti i dove, i quando, i perché; dimentichi della partenza, ignari dell’arrivo, consapevoli solo del QUI ADESSO; sorridere, giocare, soffrire, amare, compatire, perdonare, condividere, aiutare, gioire, viaggiare, raccontare, vivere.

Cavalcata per le Canarie

Il titolo è forse in parte suggerito dalla timida assonanza Valchirie-Canarie, ma qui è la CAVALCATA che conta.
Nessun altro termine può definire meglio i primi due giorni di navigazione da Casablanca a Isola de la Graciosa. Il vento è fortino, come anticipato, 25 nodi con raffiche da 30, e va alzando onde sempre più alte e spumeggianti, vere creature oceaniche. Sono anche un po’ incrociate, ma l’Amorgos le cavalca impeccabile, sotto la guida del pilota automatico, sia benedetto, che ci risparmia estenuanti turni al timone, anche se magari si occupa solo di tenere bene la rotta, senza curarsi troppo di come prende le onde. A questo, per fortuna, pensa la fantastica linea del grand soleil, magari solo con qualche sussulto in più che se fosse sotto le mani di un esperto timoniere. Con il vento in poppa e appena un fazzoletto di fiocco aperto, in discesa sulle onde surfiamo con picchi di velocità di 12 nodi o anche più. Ovviamente la barca sbanda e si raddrizza in continuo, mentre le onde più alte e le raffiche di vento più forti ci fanno raggiungere a volte inclinazioni da brivido. Stranamente tutta l’ansia che mi attanagliava prima della partenza è svanita. Anche quando la seconda alba mi fa luce su un mare bianco di onde gigantesche, non ho timore. Tuttavia, ora comprendo meglio cosa intendesse Larsson quando, nel romanzo il “Cerchio Celtico”, affermava che in mare l’alba può essere un momento terribile, perché ti permette di VEDERE la furia del mare che, invece, il tramonto pietosamente ti nasconde. Non è assolutamente il nostro caso, anche se rende bene l’idea. Lo spettacolo è davvero grandioso. Creste bianche a perdita d’occhio, masse d’acqua che si inseguono, CI inseguono e ci spingono, mi portano su in alto ad ammirare lo spettacolo del sole che sorge, per nasconderlo, pochi secondi dopo, dietro le montagne liquide che animano l’orizzonte fino a dove si perde lo sguardo. Sto poco in pozzetto, perché qualche onda ogni tanto ci rovescia un po’ d’acqua da poppa e poi a volte sbandiamo davvero tanto. C’è un istante, quando lo scafo si inclina molto, in cui rimani in sospeso per un tempo infinitesimale, davvero impercettibile, quasi come ad aspettare la conferma che effettivamente si raddrizzerà, come fa immancabilmente ogni volta. All’alternativa non arrivi neanche a pensarci che già senti la barca tornare dritta e risalire sull’onda. Quando sei fuori e guardi a poppa in questi casi si aggiunge un po’ d’ansia al vedere che sta già arrivando l’onda successiva, ancora più grande, e sembra proprio che questa volta ci agguanti prima che possiamo raddrizzarci. E’ allora che mi sento contenta di non dover stare al timone in queste condizioni, e mi viene il dubbio che sia forse solo questa la vera ragione della mia tranquillità di adesso, rispetto all’ansia che avevo prima di partire. Certo non vorrei trovarmi a dover affrontare una situazione così di bolina!
Va avanti così anche di notte, impossibile dormire, difficilissimo muoversi e cucinare, anche solo stare seduti in dinette. Mentre prendo qualcosa dal frigo un sobbalzo improvviso mi fa cadere all’indietro senza che abbia tempo di aggrapparmi e finisco di schiena con violenza contro il posto di carteggio. Gran colpo alla testa. Ora sì che ho un’idea, seppur vaga, di quello che singifica prendere una bomata! Continuo a sentirmi frastornata per un bel po’ e il giorno dopo ho i classici postumi da colpo di frusta. Inoltre, ogni volta che mi siedo, dei begli ematomi su gambe e fondoschiena contribuiscono a rammentarmi la prudenza costante nei movimenti.
Due notti insonni, con i turni di 4 ore in cui rischi di addormentarti ad ogni istante per poi scoprire che, quando puoi finalmente farlo, non ci riesci. Capita sempre a me l’invio del messaggio con il telefono satellitare, col quale comunichiamo le coordinate della nostre posizione ad Orlando, una precauzione che tranquillizza ed inquieta allo stesso tempo. Meglio non pensare al motivo per cui è utile farlo. E’ comunque un appuntamento fisso che mi aiuta a spezzare psicologicamente in due parti il faticoso turno dalle 22 alle 2 di mattina.

Come previsto, al terzo giorno gradatamente il vento diminuisce un po’, e qualche tempo dopo, anche l’onda. Con tutto il fiocco aperto e un mare ben più calmo filiamo dritti come fusi. Terminati i sussulti ci lasciamo finalmente andare ad un sonno ristoratore nei nostri turni di riposo. La situazione è così tranquilla che si sonnecchia anche durante il proprio turno, seppure sempre con i sensi allertati a percepire ogni piccola variazione della situazione. Qualche onda residua ogni tanto ci riporta alla realtà. Come pure il rumore fastidioso del motore, che dobbiamo accendere verso le 3 della terza mattina, per poco vento, ma soprattutto per ricaricare un po’ la batteria. Ne approfittiamo per scaldare un po’ d’acqua e farci una breve doccia ristoratrice, tanto per iniziare “come nuovi” l’ultimo giorno di navigazione ora che il peggio è passato. Cessato il continuo sbattacchiamento delle onde, siamo davvero come rinati. Verso le 11 issiamo il gennaker per sfruttare al meglio il leggerissimo vento di poppa e ci godiamo il resto del tempo una veleggiata in condizioni ideali, come si vorrebbe che fosse sempre: veloce, tranquilla, silenziosa, in armonia totale con gli elementi. All’una e tre quarti, mentre sto preparando il pranzo (finalmente senza dover fare equilibrismi!) il capitano avvista la TERRA. Mollo tutto e salgo ad ammirare le prime isolette che si intravedono in lontananza. E’ sempre una bella sensazione. Felici, brindiamo all’evento. Nel primo pomeriggio esce anche un po’ di sole, che avvicina la giornata alla perfezione, se non fosse per la mancata pesca, su cui facevamo affidamento per festeggiare alla grande il nostro arrivo.
Una luna quasi piena ci accompagna, facendo capolino tra le nuvole, mentre togliamo il gennaker e proseguiamo a motore per le ultime poche miglia, fino al momento fatidico in cui, dato fondo in una caletta a sud dell’isola La Graciosa, lo spegnamo. Ore 20.45. Siamo arrivati alle Canarie. Grazie Eolo, Nettuno, Capitan Ciorta. Grazie Orlando, sicuro punto di riferimento, che ci ha seguito waypoint per waypoint e non solo. Grazie Amorgos.
Ma, soprattutto, grazie CAPITANO.

ALGECIRAS – CASABLANCA

La prima tratta oceanica è più tranquilla del previsto, anche troppo! Quasi tutto motore, nella vana attesa dell’annunciato vento da nord est che, seppure debole, ci avvrebbe spinto a destinazione con tranquillità sulla pochissima onda residua del maltempo passato. Unica difficoltà, peraltro prevista, l’attraversamento dello stretto di Gibilterra, contro il vento, contro l’onda e contro la corrente entrante, che nessuna delle varie tabelle e informazioni che ci eravamo procurati è stata in grado di farci evitare.

Salutiamo Gibilterra


Il tutto condito da traffico intenso di navi che entrano e escono dal mediterraneo. Ma anche dalla pesca di un bel tonnetto, che si aggiunge alla lunga sfilza di prede, ma viene festeggiato come prima pesca oceanica e che trasformo in breve tempo in succulenti tranci pronti per la prossima cena.
Anche l’arrivo è piuttosto faticoso. Oltre alla stanchezza per le due notti di viaggio dobbiamo fare i conti con le improvvise apparizioni dal nulla di barchine di pescatori dalle lucine rosse, che ci troviamo a dover evitare prontamente. Tra l’altro abbiamo le luci di via fuori uso, il che significa che non stiamo più segnalando alle altre imbarcazioni qual’è la nostra direzione. Poiché Casablanca è un grande porto commerciale e militare, le ultime ore, durante il mio turno, sono caratterizzate da un via vai di navi che spesso si confondono con le luci della costa, per fortuna c’è il radar! Personalmente trovo comunque tutto molto stressante, tanto che sveglio Antimo una mezz’ora prima del previsto, con suo grande disappunto. Arriviamo alle 5,30, di nuovo col buio! Dopo qualche perlustrazione del porto, nel quale non vediamo nessuna imbarcazione a vela, ci ormeggiamo ad un pontile isolato in una piccola darsena che sembra un marina smantellato. La notte accentua lo squallore del posto, pieno solo di pescherecci e navi militari, ma siamo stanchi e non ce ne curiamo, vedremo le cose come stanno realmente dopo un meritato riposo.

Al risveglio, comincia una serie di sorprese molto gradite. Siamo infatti preparati al peggio per questo scalo a Casablanca. Il resoconto fatto da Rodolfo nel suo libro sul giro intorno al mondo parla di scomodita’ di accesso alla barca a causa della forte escursione di marea, burocrazia assurda, continua richieste di mazzette, perquisizioni della spesa, tentativo di furto del tender. Ci aspettiamo di non poter assolutamente lasciare l’Amorgos incustodita e invece finiamo col chiederci dove mai fosse capitato Rodolfo, oppure dove siamo capitati noi! Squallore dell’area a parte, tutto fila liscio. Il pontile e’ galleggiante e il problema marea quindi non sussiste. Il posto, non si sa per quale ragione, e’ presidiato da un giovane addetto alla sicurezza (forse un militare) di guardia in una garitta improvvisata con assi di legno e un tetto di lamiera tenuta ferma da pietre. Gli fanno compagnia due cani lupo dall’aspetto aggressivo. Lungi dal farci storie, come temiamo possa succedere, quando gli chiediamo dove andare per espletare le formalità doganali l’ossuto e sdentato Rashid ci accompagna per un pezzo. Arrivati alla polizia, ci consigliano di prendere un taxi che loro stessi instradano verso la dogana. Lì, dopo un controllo molto minuzioso di tutti i documenti, ci trattengono quelli della barca e ci rilasciano un pass visitatore per l’accesso all’area militare in cui risultiamo ormeggiati. Nessuna richiesta di soldi, né per le formalità né per il posto barca! L’Amorgos è al sicuro, con tanto di guardia personale, mentre noi giriamo tranquilli per la città. Non è tutto! Un uffciale del posto di blocco all’ingresso dell’area militare, a cui chiediamo dove poter andare a fare carburante, ordina ad un suo uomo di accompagnarci con l’auto al più vicino distributore per poter riempire le taniche. Il soldato non solo non pretende una ricompensa, ma, quando insistiamo, lascia a noi decidere la cifra. Inoltre ci porta in giro a cercare un pezzo di ricambio per la riparazione delle luci di via e, non avendolo trovato, si offre di proseguire lui la ricerca nel pomeriggio. A parte la prima “mancia”, con tutti gli altri ci sdebitiamo con thermos di buon caffè italiano, apprezzatissimo.

Caffè per tutti

Per completezza aggiungo qualche episodio più in linea con le aspettative: come il tassista che cerca di venderci un giro della città ad un prezzo che riteniamo eccessivo e non accettiamo; un secondo soldato nel pomeriggio ci porta il pezzo di ricambio trovato dal suo commilitone provando ad “estorcerci” 15 € per l’attacco di una lampada che non va neanche bene; l’improvvisata guida Mohammed – che parla un perfetto italiano con forte accento parmigiano, erre moscia compresa – che per i suoi magri servigi pretende in cambio vino e magliette (per occultare la bottiglia, ovvio) e ci offre fumo a un prezzo sicuramente molto vantaggioso per lui. Che dire? Forse saremmo rimasti anche delusi dalla totale assenza di esempi dell’arte di mercanteggiare tipica di questi paesi, dunque tutto perfetto! Fino agli ottimi pranzetti a pochi euro gustati nei locali (meglio direi nei “buchi”) della medina, dove mangiamo mille volte meglio che nell’esoso ristorante per turisti del primo giorno. Relax nella medina

Qualche nota sparsa: ho messo finalmente piede in Africa, ora mi resta solo l’Antartide; interessante assistere dal vivo alla devozione collettiva (quanto sincera?) che porta centinaia di uomini ad inginocchiarsi sui tappeti stesi in strada durante l’ora della preghiera, diffusa a tutto volume da altoparlanti in giro per la città; la medina è piena di furgoncini tipo Apecar che trasportano montoni vivi e di balle di fieno a tutti gli angoli. Scopriamo che siamo a pochi giorni da una grande festa in cui tutti i capi famiglia (dell’intero mondo mussulmano) sacrficheranno un montone, sgozzandolo, non appena verrà dato il via dal capo dello stato con atto analogo in una cerimonia ufficiale trasmessa in diretta televisiva; colori e odori al mercato delle spezie, ricordi di suggestioni nepalesi ormai quasi perse nella memoria; il raggio laser verde che indica la direzione della Mecca dalla torre più alta della gigantesca, moderna moschea.
Moschea che salutiamo, tutta illuminata, ma resa evanescente da un’insolita nebbiolina, passandoci davanti all’uscita del porto, domenica sera, pronti all’ultimo balzo in direzione Canarie, il più lungo, 400 e passa miglia. Sono previsti 25 nodi di vento e mare agitato. Sono un po’ agitata anch’io, ma vento e mare dovrebbero venire da dietro per la maggior parte del tragitto, il presupposto per qualche giorno di navigazione bella sostenuta. Dunque, finalmente, vento in poppa e si va!