Il fiume riflesso

foto dell'Isonzo L’Isonzo è indescrivibile, come sempre. Ma questa volta non è qui per me. Mentre scendo su quest’acqua di una bellezza che non cessa mai di sorprendere, sento che il fiume oggi appartiene a qualcun’altro. Per fortuna. Perché il SUO Isonzo oggi è molto più bello del mio. Lo è ad ogni onda, pagaiata, entrata in morta, bene, un’altra ancora, troppo temerario, bagno, non importa, rapida più impegnativa del previsto, ma quasi tutta buona tranne quello sbaglio finale, bagno, non importa, e via giù con lo stesso stupore esilarante con cui i bambini scoprono la vita. La stessa curiosità, lo stesso vorace desiderio di impadronirsi della nuova scoperta, lo stesso entusiasmo contagioso, che gli trabocca in un milione di ringraziamenti quasi imbarazzanti e gli risplende negli occhi assieme al riverbero dell’acqua magica dell’Isonzo.

foto di canoista stanco

Sfatto ma soddisfatto!

A fine giornata è sua anche la sensazione di spossatezza appagante di cui ho fatto il mio motto. Ma non gliene voglio, perché non ne ho il monopolio e, soprattutto, perché riflesso nei suoi occhi intravedo finalmente il fiume perduto che andavo cercando affannosamente dentro me.

Vivere di riflesso non va bene, certo, ma a volte  si può trovare qualcosa vedendola prima nello specchio. O no?

Wild Water Women’s day

100_8888E’ un raduno particolare. Quasi ci vai solo perché, in un certo senso, DEVI. Quest’anno è la quindicesima edizione di un evento nato da una tua idea, anche se sai che praticamente da subito ha preso a camminare da sola (cioè con la spinta della sempre stupefacente macchina organizzativa del club). Poi ci vai perché l’amico skipper che ti ha fatto vivere tante belle emozioni solcando le onde del pacifico e del mediterraneo sul suo catamarano adesso ti chiede di ricambiargli il favore sulle onde dei fiumi. Dopo che hai passato ore ed ore durante la traversata oceanica a raccontargli della tua passione canoistica, adesso che ne è stato contagiato, come fai a tirarti indietro? Allora ci vai. Anche se a te il cuore non batte più così forte al solo vedere l’acqua di un torrente e cerchi di ritrovare negli sguardi degli altri quel “sacro fuoco” che un tempo bruciava anche dentro di te. Lo scorgi nel sorriso di una ragazzina che hai visto nascere, e che, la mattina presto, quando tu arrivi al luogo di ritrovo con gli occhi ancora impastati di sonno, ha già fatto una discesa del fiume con un livello da impensierire più d’uno ed è lì che si organizza per scenderlo ancora e quando saluti tutti per tornare a casa la sera, è ancora in acqua per l’ennesima discesa.100_8929 Quello che segue è un guazzabuglio di emozioni: un po’ di invidia, perché vorresti tornare a sentire anche tu quella passione; un po’ di malinconia perché quel fiume lì, che hai disceso tante volte, con tutti i livelli possibili, a volte anche tardi, in fretta dopo il lavoro, arrivando alla fine con il buio, oppure sotto la pioggia, addirittura una vigilia di Natale con la neve, quel fiume oggi, con quel livello, non te la saresti sentita di scenderlo, dito infortunato a parte; un po’ di sollievo, perché questi due giorni sono stati ugualmente piacevoli, a conferma che l’adrenalina può non essere una componente imprescindibile della tua vita; un po’ di gratitudine nel vedere che un gruppo che ormai frequenti in pratica solo una volta all’anno, in occasione del raduno, ti accoglie comunque sempre con lo stesso calore e continua a chiamarti Zamby.
Poi una chiusura di giornata avvolta in un lunghissimo dejavù, le piccole code di rientro, passare dal club a scaricare la canoa, la roba maleodorante da lavare, la tenda da far asciugare, tutto sulla stanchezza di due giorni all’aria aperta. Allora ripensi a quello che scrivevi quando la passione era ancora ardente:

“ne vale la pena?, qualcuno ti chiede,
se dici di sì, però non ci crede,
ma a te cosa importa che dice la gente?
se dici di no, non capisci niente”

(Cliccare qui per l’intera filastrocca “Canoisti d’appennino”)

Bellezza da conquistare

6 settembre 2011, sul traghetto per Patrasso

Ho sempre sostenuto che la bellezza di un posto dipende anche dalla fatica, dal rischio, o comunque dall’impegno che il raggiungerlo ha comportato. O meglio, l’EMOZIONE che si può provare di fronte a certe meraviglie della natura varia a seconda di come te ne sei conquistato la vista. Potrei fare decine di esempi. Uno su tutti: non è che il ghiacciaio Perito Moreno non mi sia piaciuto, eppure neanche lo nomino nelle mie cronache argentine. Di sicuro la Patagonia mi ha offerto tali emozioni che ho dovuto fare una scelta su cosa raccontare. Ma di certo è dipeso anche dal fatto che l’ho visto da un comodo balcone appositamente costruito e poi da una barca affollata di turisti. Niente di paragonabile con la reverenza provata, qualche anno prima, in Alaska, passando davanti ai ghiaccai di Glacier Bay, che saranno anche meno spettacolari, ma a vederli da una piccola canoa da mare, dopo aver pagaiato un giorno intero tra foche e balene e campeggiato su spiagge cospare di impronte di orsi, rilucevano di una bellezza ben più maestosa. Seduta dentro un puntolino di polietilene colorato, slalomando tra gli iceberg che si staccano dal ghiacciaio, non ammiri il paesaggio, lo VIVI e questo ne amplifica a dismisura la bellezza, che altrimenti finisce con l’appiattirsi nel ricordo, come una semplice fotografia. Non per nulla altri posti in Patagonia mi hanno colpito di più: tutti quelli che sono stati la ricompensa finale di una dura giornata di cammino, zaino in spalla, notte in tenda, con la sensazione di esserci DENTRO a un posto, invece che stare a guardarlo da fuori. A volte magari ci sei dentro un po’ TROPPO, ti sei persa, non vedi anima viva da tre giorni, l’acqua scarseggia, sprofondi pericolosamente nel fango, non vedi la luce fuori dal bosco, però quando ci arrivi sai che quella vista non potrà mai essere altrettanto bella per nessuno!
Facile dunque capire perché non riesco ad emozionarmi quando avvistiamo le coste di Corfù, dopo la traversata dell’Adriatico, ennesima notte insonne sul mare, ma questa volta non per i turni al timone, quanto per la scomodità della poltona sul traghetto che da Ancona mi riporta in Grecia, a poco più di un mese di distanza. Dall’undecismo ponte della nave, non mi sembra neanche mare. E’ diverso anche l’odore! Ma domani, anzi, già oggi, salgo di nuovo a bordo di Andromeda (per l’ultima volta, temo) a godermi lo scampolo finale dell’estate nella giusta dimensione.
All’autunno e all’inverno meglio non pensare, sono ancora lontani all’orizzonte.