Quello che le foto non dicono

Siamo nell’era delle immagini, lo so. Pubblichi una foto su Facebook, due righe di commento, e ciascuno si immagini ciò che vuole. Ma le cose che le foto non possono raccontare sono molte. Come l’onnipresente odore di timo che ti accompagna su e giù per sentieri tracciati dalle capre, o il caldo abbraccio della sabbia granulosa di una spiaggetta deserta, in cui ti rotoli per recuperare il calore perso nell’acqua tanto gelida quanto cristallina. E nessuna foto dirà mai il senso di pace assoluta che ti avvolge mentre lasci alle spalle  nubi minacciose per andare incontro al sole, a vele spiegate, nelle prime ore del mattino. Nessuna foto saprà  spiegare l’illusione ubriacante che la vita possa essere distillata a tre semplici preoccupazioni: la direzione e l’intensità del vento e un approdo sicuro per la notte.

image

Spigolature cretesi

Stavros
BOE?!
In Grecia sono dappertutto, anche a Creta in Ottobre, con il cielo coperto e con il sole, dall’alba al tramonto, con mare calmo o mosso. Sono bagnanti, prevalentemente donne, ma non solo, che se ne stanno a mollo per ore con l’acqua fino al collo, il cappello in testa e anche gli occhiali da sole, spesso in compagnia, facendo quattro chiacchere. Si spostano di poco o niente, nuotando a cagnolino. Già nel Dodecaneso, tre anni fa, le avevamo soprannominate Finte Boe, perché durante la ricerca degli ancoraggi, con il sole contro, poteva essere difficile distinguerle dalle boe che delimitano l’area bagnanti. La finta boa ha sempre una ragione d’essere. D’estate con il sole cuocente se ne sta al fresco senza scottarsi. Verso fine stagione, quando il vento a volte è frescolino e l’acqua bella tiepida, se ne sta a bagno senza prendere freddo. Ci provo anch’io alla fine di una lunga nuotata, quando mani e piedi cominciano a infreddolirsi. Funziona!

IL CONTO PER FAVOREfinepasto
Ormai abbiamo capito che, come contorno, una sola insalata greca in 4 è più che sufficiente. Una volta tanto si arriva a fine pasto avendo mangiato il giusto. Errore! Perché quando chiedi il conto, immancabilmente, prima ti portano la bottiglietta di Raki (grappa locale), il piattino con la polenta dolce, la frutta carammellata con il miele, a volte la torta al cioccolato con il gelato. E non è che puoi lasciarli lì! E di nuovo finisce che si mangia troppo…

MARECreta_timone
Egoisticamente, godersi una bella veleggiata, seppure con onda laterale incrociata, ben fastidiosa, che fa star male tutti tranne te; meravigliarti di come abbia potuto stare così a lungo senza tutto questo; ringraziare che nessuno degli altri voglia stare al timone e che Andromeda sia un catamarano, perché una bolina del genere, per ore, con un monoscafo tutto inclinato forse non te la saresti goduta altrettanto; pensare nuovamente che è così che vorresti vivere. Ci sarà una ragione se non soffri per niente il mal di mare e invece il mal di terra ti va avanti per giorni e giorni… FERMATE LA SCRIVANIA!

CLANDESTINO
Finalmente una bolina larga, facile da tenere, che punta dritta a destinazione, senza tanti patemi, anche se poggi un po’. Vento allegro e onda benevola. E uno scricciolo di uccellino appollaiato sul manubrio della bicicletta assicurata vicino al timone, che cerca di tenersi contrastando il vento. Ci scrocca un passaggio! A fatica, sfruttando i momenti di calma, si porta sulle draglie di poppa, dov’è più riparato.

Restiamo ammaliati come ragazzini. Poi cala il vento, l’onda comincia a sballottarci, la randa prende a sbattere e una delle scotte lo colpisce in pieno facendolo volar via, per fortuna quando siamo già vicino alla costa. Siamo in quattro a bordo, ma all’improvviso la barca sembra vuota!

Inerzia

Ci si abitua. Alla “normalità” del vivere quotidiano. Farsi svegliare tutte le mattina dalla luce che proviene sempre dalla stessa finestra. Aprire gli occhi e sapere già dove sei, senza quell’attimo di incertezza necessario a ricordare dove hai appoggiato la testa la sera prima.
I rumori conosciuti della vita che si sveglia intorno a te. L’acqua della doccia del piano di sopra che scorre nei tubi. La porta del vicino che si chiude e lui che scende trafelato le scale. Un motore che si accende nel cortile del palazzo di fronte. Premi un bottone e 90 secondi dopo il beep-beep del microonde ti avvisa che l’acqua per il tuo orzo mattutino è pronta. Mentre sbucci la frutta per lo yogurt dalla radio le solite voci augurano buona giornata. Ci si abitua. A giornate prive di soprese, per quanto piacevoli, lavoro, un paio d’ore in piscina, lavoro, camminata serale sui colli. La regolarità può dare assuefazione. Ti abitui al punto che anche il contatto telematico con amici viaggiatori non basta più a far insinuare il desiderio di partire tra le pieghe di giorni tutti uguali. E’ il male d’inerzia, la refrattarietà al cambiamento.
Poi un giorno la vinci, non sai neanche tu come. Sul treno per l’aeroporto già ti chiedi cosa c’era di tanto bello in quella ripetitività che non volevi rompere.  
E’ vero che, dopo appena due giorni, anche il cala l’ancora salpa l’ancora, prepara le cime, issa la randa, fuori i parabordi, diventa abitudine, ma (chissà perché?!) la preferisci. Un tuffo quasi all’alba, prima di colazione, gli estranei di ieri già diventati amici.  Domani si ritorna. Una settimana è troppo poca, lo sapevi, ma è quel tanto che basta a ricordarti hai voglia di partire di nuovo.

Saluti a tutta la ciurma e, come dice una certa password, KEEP SAILING!

ImageGrec