Cronache Capovolte VII

ACQUA

Di nuovo nella regione dei laghi, Bariloche e dintorni, quella dell’indigestione di paesaggi. L’ubriacatura si ripete ed io vorrei evitare di farlo, quindi immaginatevi la solita collezione di laghi, cime innevate, fiumi ecc. (vento, e’ovvio!) e una temperatura perfetta per camminare. Non potrei davvero chiedere di piu’. Invece le mie GINOCCHIA avrebbero potuto chiedere di sottoporle a un po’ meno discese per lunghe pietraie scoscese con lo zaino in spalla. Pero’ non lo hanno fatto, hanno preferito sopportare e cominciare a lamentarsi dopo (a una settimana di distanza ancora non hanno ancora smesso!) Al terzo giorno di cammino, Martin, uno dei miei compagni occasionali di percorso, tra una lamentela per il mio ritmo troppo veloce e una battuta sul merito attribuibile ai miei scarponi in goretex, mi fa notare che pero’ ogni tanto rallento, senza apparente motivo. Passa qualche ora e mi dice: “ho capito, rallenti sempre in prossimita’ del torrente! Cominci a guardare l’acqua e devi per forza rallentare per non inciampare sui tui passi”. Martin non scopre niente di nuovo, ma ha ragione. Che sia di mare, lago, fiume, l’ACQUA in tutte le sue forme da sempre esercita su di me un’attrazione irresistibile. Devo essere stata un pesce in qualche vita precedente… E’ cosi’ che, alla fine del trekking, sulla scorta di questa riflessione, ascolto il consiglio di tanti altri viaggiatori (e le preghiere delle mie ginocchia): lascio la Patagonia e vado la’ dove pare che l’acqua si manifesti piu’che altrove in tutta la sua magnificenza: LE CASCATE DI IGUAZU’ (quasi 3000 km, che vuoi che sia…? non stupitevi se al rientro vi propongo di andare a prendere il caffe’ a Oslo). Le cascate di Iguazu’, a cavallo tra Argentina e Brasile, non sono ne’ le piu’ alte, ne’ le piu’ lunghe, ne’ le piu’ potenti cascate del mondo. A detta della mia amata Rough Guide, semplicemente sono le piu’ SPETTACOLARI. Non posso confermare, perche` non ne ho viste altre di tal genere, ma la Rough Guide ha sempre RAGIONE. L’immagine d’insieme e’ di per se’ abbacinante. Un ben organizzato sistema di passerelle ci porta a camminare su livelli diversi tra le varie cascate, contornati da una lussureggiante vegetazione subtropicale. E’ tutto bellissimo, ma… insomma, voglio dire, si´ bello, grandioso, pero’ una delle meraviglie del mondo…? non saprei. Certo il giro in gommone a motore che risale il fiume per rapide fino al terzo grado e ti porta a prendere secchiate di acqua vicino a qualcuna delle cascate ha il suo perche’ di emozione, pero’… La mia compagna di viaggio mi guarda come se fossi incontentabile. Non so cos’e`. Forse la massa di turisti che si affaccia sui balconi con vista sulle cascate? Apprezzo il tutto, ma mi sento un po’ delusa, anche se, devo dire mi aspettavo che succedesse. Pero’ ci pensa la GARGANTA DEL DIABLO a ingoiare la mia delusione e a risputarmela addosso con tutta la sua forza, in una doccia che comincia gia’ a qualche centinaio di metri dalla cascata piu’ grande. Il nome gia’ dice tutto. Quasi 2000 mc di acqua al secondo precipitano lungo un semicerchio di piu’ di 3 km nel canyon sottostante con un salto di 70 metri. La passerella ti porta proprio sul bordo. Lo spettacolo e’ mozzafiato. Le parole se l’e` ingoiate la GARGANTA insieme alla delusione. Rimarrei ore a fissare tutta quell’acqua che poco prima era un placido fiume di pianura e all’improvviso precipita in un calderone di spuma ribollente. Non mi importa se la Garganta continua a prendermi a secchiate. Fa caldo. Non importa se all’improvviso si alza un vento di tempesta e comincia un acquazzone tropicale, siamo gia` tutti bagnati! La pioggia, il vento, l’acqua dalla cascata, l’odore di fiume, di terra, l’acqua tranquilla sopra, indiavolata sotto, ACQUA OVUNQUE, ma fa caldo, si sta bene, si sta benissimo, STO BENISSIMO! Non mi staccherei piu’ da questo spettacolo. Pero’ dobbiamo andare. Abbiamo lasciato la Garganta per ultimo (e consiglio a tutti di fare cosi’ ), ma si e’ fatto tardi e rischiamo di perdere l’ultimo bus. Domani ho mezza giornata prima di partire… so gia’ cosa faro’, il secondo giorno l’ingresso al parco costa la meta’!

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Cronache Capovolte VI

Prima di iniziare con le cronache, ringrazio i numerosi di voi che hanno espresso sincera partecipazione (o preoccupazione!) alla mie avventure di piccola esploratrice allo sbaraglio. Ho come il sospetto che per il compleanno rischio di ricevere in regalo una collezione di bussole. Perio’ astenetevi, non sareste orginali e magari nel frattempo mi saro’ comprata un GPS!

VENTO

Lo so, ve l’ho gia’ raccontato, ma non mi stanco di farlo, così come lui non si stanca di soffiare, in questa parte del mondo. In Alsaka c’erano gli orsi e gli insetti a ricordarti che non eri morta e finita in paradiso, qui c’e’ il VENTO (e per questo non ci sono gli insetti, mi dicono. Gli orsi, non saprei, forse non gli piace avere sempre il pelo arruffato?). Pensavo di aver gia’ sperimentato tutta la sua forza e insistenza lo scorso anno al Cerro Torre o una settimana fa nella Tierra del Fuego, finche’ non sono arrivata a Torres del Paine, nella Patagonia cilena, la madre di tutti i venti, l’antro stesso di Eolo. Se volete fare indigestione di vento e’ qui che dovete venire. Lo sai ancora prima di arrivare; lo leggi nella guida; te lo dicono quelli che sono appena tornati; ne senti tanto parlare che quasi ti immagini di esserti gia’ abituata, ma non e’ così. Il vento qui a volte soffia, ma per lo più COLPISCE, spinge, strattona, martella, rimbomba, assordandoti. Cammini e non sai se quello che senti e’ il rumore di un torrente impetuoso che scorre nella gola sottostante oppure il vento. Probabilmente sono entrambi, ma il primo e’ coperto dal frastuono del vento tra le fronde. Sei di fronte ad una vista spettacolare: boschi che si affacciano su laghi glaciali immensi; ghiacciai di colore azzurro intenso che vanno snocciolando in acqua piccole montagne di ghiaccio galleggiante (che suona piu’ pittoresco di “iceberg”, no?), oppure ti trovi davanti a pareti verticali di roccia che si ergono maestose dal niente, imponendosi all’ammirazione anche del meno impressionabile dei visitatori, insomma, arrivi in posti dove ti fermeresti per ore a bere con gli occhi tutta la bellezza di cui e’ capace la natura, ma non resisti piu’ di tanto e ben presto ti infili di nuovo nel sentiero, cercando il seppur scarso riparo che il bosco puo’ offrirti. E il bello e’ che io non sono neppure stata nella parte piu’ esposta del parco! Montare la tenda da sola a volte e’ un’acrobazia a cui mi abituo in fretta. La sera cucino qualcosa sul precario fornellino, accovacciata in un angolo dell’affollato riparo di cui quasi tutte le aree autorizzate per il campeggio sono opportunamente dotate. Poi mi infilo in tenda. E’ ancora presto e c’e’ luce fino a tardi. E’ vero che sono stanca per il lungo cammino, ma e’ soprattuto che ho voglia di CHIUDERE FUORI il vento. Cercando qualcosa nella mochila (zaino, scusate, mi e’ uscito così e, da brava mochilera, lo lascio) scopro che il lettore MP3 e’ miracolosamente sfuggito alla mia frenetica caccia al peso superfluo prima di iniziare il trekking. Felice per la scoperta, mi infilo le cuffiette e finlamente mi abbandono ad una colonna sonora diversa dal sibilo perpetuo del vento. Avvolta nel confrotevole abbraccio di un buon sacco a pelo caldo (anche troppo, c’e’ vento, ma non fa tanto freddo) ripercorro le immagini della giornata impresse nella memoria. Rivivo la gioia di scoprire una prospettiva differente dietro ad ogni curva del sentiero lungo il lago, o di vedere apparire nuovi scenari arrivando in cima ad ogni maledetta, faticosa salita. Sono fortunata, c’e’ il sole quasi tutto il tempo e per ora e’ piovuto solo di notte, a tenda gia’ montata. In certi momenti penso davvero che questo potrebbe essere il paradiso… se solo dio non si fosse dimenticato il ventilatore acceso sul massimo!

NEL TEMPIO

Scherzando ho tirato in ballo dio. Che non lo so se c’e’ o non c’e, ne’ voglio mettermi a disquisirne ora. Certo non penso sia un caso che alcuni concetti saltino fuori in situazioni come questa. Non e’ solo che hai tempo per pensare. Di quello ne hai a iosa durante i lunghi spostamenti in bus, ma non e’ la stessa cosa. Forse e’ che qui cammini portandoti in spalla per giorni l’enorme peso del minimo indispensabile per provvedere ai tui bisogni, concentrata solo nella fatica e nella bellezza dei posti, lontana da ogni pensiero accessorio. Come dire che, mentre eserciti a pieno tutta la fisicita’ del vivere, senti che la spiritualita’ ve prendendo il sopravvento. Poco prima di partire si parlava piu’ o meno di queste cose con mia cognata e lei mi ha detto qualcosa che sembrava avere questo senso: che prima o poi tutti andiamo trovando la nostra dimensione spirituale, ciascuno cercandola a nostro modo e trovandola in “posti” differenti e che forse questa e’ la ragione dell’attrattiva che certi luoghi o certe esperienze esercitano su di me. Non so bene se e’ davvero questo che intendesse, ma di certo e’ quello che mi sembra di sentire ora. Non sono religiosa, ma potrei dire che qua in mezzo mi sento come in un TEMPIO. Forse non a caso l’anno scorso parlavo del Fitz Roy come di una cattedrale e degli escursionisti come devoti. E’ questo che siamo? In adorazione, o in cerca di cosa veniamo? Come si puo’ non riflettere sul senso di tutte le cose di fronte allo spettacolo indescrivibile che le forze della natura mettono in scena tanto chiaramente in questi luoghi? Per anni ho pensato al mare o ai posti caldi, tropicali, come alla culla della vita. Pero’ e’ in angoli come questi che ti accorgi del suo fluire. La vedi che scorga dal ghiaccio, la vita. Ti scorre sotto agli occhi in forma di acqua che bevi. Vedi la MONTAGNA stessa che vive. Si trasforma in terra portata a valle dal ghiaccio e dall’acqua. Guardi dall’alto di una brulla parete scoscesa, solo pietra e sabbia, e vedi il nastro bianco che si precipita giu’ dal ghiacciaio, stretto e impetuoso prima, poi sempre piu’ largo e calmo, fino a perdersi nel lago, mentre intorno, gradualmente, il sedimento grigio si va coprendo di vegetazione sempre piu’ fitta. E’ tutto qui, sotto ai tuoi occhi. Nel giro di pochi chilometri vedi all’opera le forze che con il tempo hanno forgiato molti dei posti in cui viviamo. Qui davvero percepisci che LA TERRA e’ viva, si muove, si trasforma, palpita e non ti meravigli se a volte si da una scrollatina per togliersi di torno gli infestanti insetti umani che si ostinano ad infilarsi ed installarsi per ogni dove. E’ questo che siamo qui nel parco, tante piccole formichine che vanno su e giu’ per sentieri ben segnati, nell’illusione di stare vivendo un’avventura che non puo’ neanche lontanamente avvicinarsi a quella di chi, per primo, ha davvero esplorato questi posti e ne ha sfidato il vento. Beh, questa piccola formichina, sprovvista di bussola e senso dell’orientamento, gli e’ MOLTO GRATA, perche’ e’ un’illusione in cui sente proprio felice.

FUORI DAL TEMPIO

Qualcuno di voi mi ha chiesto quand’e’ che scrivo. La verita’ e’ che di solito lo faccio direttamente al computer, butto giu’ le idee piu’ o meno come mi vengono, non prendo appunti durante il viaggio (la mia moleskine e’ adibita ad usi piu’ prosaici, come annotare spese, indirizzi, orari di bus, non me ne vogliano Hemingway e Chatwin!). Pero’ questo l’ho scritto, pur sempre di getto, seduta davanti alla mia tenda con vista sul lago, in un raro momento di calma di vento (sì, e’ capitato e anche qui gia’ si parla di stagioni impazzite), dopo aver cenato, in attesa che tramontasse il sole. Sapevo che era un attimo non replicabile quando fossi stata seduta in un cyber cafe’ davanti ad un freddo monitor. La calma sembrava irreale, il mondo sembrava perfetto, uno dei miei brani preferiti suonava di sottofondo, davanti allo scenario ideale per il quale sempre lo avevo immaginato composto (The First of Fifth, dei Genesis, volevo allegare l’MP3 per i piu’ giovani che non lo conoscono, ma pesa troppo). Contrariamente ad altre occasioni, ero contenta di essere da sola, nell’egocentrica illusione che tutto quello fosse lì per me, in quel momento. Adesso sono in un ANGUSTO locutorio di Puerto Varas, amena localita’ turistica vicino Puerto Montt, a due ore circa di volo a nord del “Tempio” del Paine, in attesa di prendere il bis che mi portera’ di nuovo in Argentina, domani. L’adolescente nella postazione accanto a me e’ impegnato in un videogioco che gli fa scuotere il tavolo come un dannato, di sottofondo gracchia una non identificata musica rockeggiante locale. E’ facile trovare la pace in un tempio. Il difficile e’ riuscire a portarla fuori con se’!

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Cronache Capovolte V

IL MOCHILERO (si legge mocilèro)

Dalla parola mochila (zaino) il mochilero e’ colui che viaggia con lo zaino in spalla. Gli inglesi dicono backpacker (da backpack, logico), gli italiani invece non dicono, forse perche’ non e’ una forma di viaggio molto diffusa da noi. Qualche anno fa qualcuno aveva tirato fuori il termine “saccopelisti”, ma aveva un accezione dispregiativa, oltre ad essere orrendo, quindi rassegnatevi a sentirmi parlare di MOCHILEROS.
Non so quanti di voi abbiamo mai viaggiato in questa forma per più delle solite due settimane di vacanze o siano comunque arrivati a sentirsi veramente parte della categoria dei mochileros. Perchè di vera e propria categoria si tratta e come tale ha le sue caratteristiche distintive. Esiste, tra i mochileros, una sorta di solidarietá implicita, un codice non scritto di “regole” che nessuno ti insegna, ma apprendi con l’esperienza. E’ un po’ come succede tra canoisti, o cicloturisti o tutti gli individui che praticano un’attivita’ un po’ fuori dal comune, che richieda una certa dose di intraprendenza e di autonomia, e comporti una seppur piccola parte di rischio, oltre la necessitá di affrontare a luoghi e situazioni sconosciute. Tanto per fare qualche esempio, mentre e’ impensabile che io telefoni ad un perfetto sconosciuto di cui qualcuno mi ha dato il numero per chiedergli se vuole venire a sciare con me, visto che sono da sola, e’ del tutto normale che io lo faccia per trovare compagni di canoa; cosi’ come e’ molto improbabile che io fermi un qualunque passeggero alla stazione per chiedergli da dove viene, dove va, cosa fa nella vita e se ha vistato questo posto o quell’altro, mentre tra mochileros e’ assolutamente la norma. Non e’ che chiunque abbia uno zaino in spalla sia automaticamente un MOCHILERO. Di regola gli zaini sono due: quello grosso e pesante sulla schiena ed uno piu` piccolo, ma bello pieno, sul petto. E’ cosi’ e basta. Puoi provare altre soluzioni sofisticate, ma se alla fine tutti viaggiano così e’ perche’ e’ piu’ comodo. Lo zaino sul davanti ti bilancia, lo controlli e ti senti piu’ sicuro, ci tieni le cose di cui hai bisogno nell’immediato, lo porti con te sul bus, mentre lo zaino grande va nel portabagagli. Ti ci abitui al punto che finisci per portarlo cosi’ anche quando lasci lo zaino grande in ostello! Quando parti per un trekking lo lasci in deposito all’ostello con tutte le cose che costituiscono solo peso in eccesso. La categoria dei mochileros comprende una vasta gamma di tipologie e dopo un po’ impari a individuarle a prima vista, soprattutto nelle lunghe attese alle stazioni dei bus. Ti diverti ad indovinare la nazionalità non solo dal tratto fisico, ma dall’attrezzatura, dalla marca dello zaino, dalla giacca, dalla lingua, origliando un po’ le conversazioni… C’è chi viaggia in coppia, lui fanatico di questo tipo di viaggio, lei che lo segue per amore, ma nei suoi occhi gia’ vedi che lo odia e che gliela fará pagare con ore ed ore di shopping o di spiaggia; la coppia affiatata, con anni e anni di esperienza di viaggio sulle spalle; quelli che si sono trovati a viaggiare insieme per un po’ casualmente; padre e figlia, madre e figlio, gruppetti di amici, viaggiatori soli, per scelta o per necessita`, quello che sta via un anno, sei mesi, un mese solo, ognuno con la sua storia e sempre con le orecchie tese per ascoltare le storie, le esperienze, i consigli degli altri. Io di solito mi metto nella categoria degli inesperti (e a ragione, vi assicuro), pero’ c’è chi ha meno esperienza di me e quindi capita che a volte mi si “appiccichi” qualcuno in cerca di una guida (ignaro della pessima scelta fatta). La cosa in genere non mi disturba e se davvero posso essere di aiuto, lo faccio volentieri, solidarieta’, si diceva. PERO’ e’ da piu’ di una settimana che sto cercando di far perdere le mie tracce ad una coppia di israeliani che mi ha adocchiato come potenziale guida e che continuo a re-incontrare in autobus, ostelli, sentieri di trekking, stazione dei bus. Il problema e’ che sono talmente assillanti da cercare in continuo di convincerti ad adattare il tuo programma al loro e non sono disposti a fare viceversa. Siamo bloccati a Rio Gallegos, prendiamo un auto a noleggio? Io ci sto, partiamo domani dividiamo le ore di guida… NO! Domani e sabato e loro non possono guidare, ne viaggiare, ne’ fotografare, ne’, che so io… Il colmo dei colmi e’ quando scendiamo dallo stesso bus e accettiamo l’invito di una signora che ci propone un ostello, per poi scoprire che e’ un vero “covo” di israeliani, tanto che il proprietario ha imparato la lingua, i cartelli sono scritti in ebraico e persino skype e’ impostato in ebraico! In cucina chiedo in prestito l’unico coltello che taglia, ma mi viene negato perche’ devo tagliare della carne ed e’ sabato… PER FORTUNA E’ SABATO! La mia coppia e’ molto osservante e non puo’ viaggiare e così posso dargli un giorno di distanza e non mi li ritrovo a Torres del Paine negli stessi giorni!!!! Lo so, non e’ da brava mochilera, chiedo venia, ma mi ci stanno tirando per i capelli!

NUNCA MAS (= MAI PIU’, ovvero una pivella allo sbaraglio)

Lo sanno tutti ormai che ho un senso dell’orientamento pessimo. Mi diverto a dire che invece ho un ottimo senso del DISORIENTAMENTO. Sono capace di perdermi in un albergo. Non scherzo: se entro in una stanza da un corridoio con piu’ di 4 porte, quando esco imbocco la direzione sbagliata. I punti cardinali riesco ad individuarli solo intorno all’alba o al tramonto; memoria visiva neanche a parlarne. In un fiume che ho disceso decine di volte non mi ricordo neanche punti salienti, come passaggi pericolosi da trasbordare. Eppure mi ostino a mettermi alla prova, nella vana speranza di ruscire a sviluppare un seppur minimo senso della direzione. Nella TIERRA DEL FUEGO la maggior parte della gente viene per fare un breve giro nel parco, o escursioni in battello, o anche solo per dire di essere stato alla FINE DEL MONDO, a Ushuaia, in Argentina (anche se i cileni reclamano il titolo di centro abitato piu`meridionale con Puerto Williams). Non sono molti quelli che fanno trekking piu’ lunghi. Percio’ gia’ so che il sentiero di tre giorni che ho scelto non sarà affollato, ma mi intestardisco, perchè voglio fare un prova prima di intraprendere il trekking piu’ impegnativo di Torres del Paine, testare l’attrezzatura e, soprattutto, la mia resistenza. Mi intestardisco, e LA PAGO. In tre giorni di cammino non so quante volte mi perdo. La descrizione della guida di trekking e’ dettagliata dove non serve e fuorviante nei tempi di percorrenza indicati, ma non potendo affidarmi a sentieri ben tracciati e meno al mio senso dell’orientamento e’ l’unico che mi resta. Niente di grave, il primo giorno faccio un po’ più di strada, ma arrivo alla meta. Certo, trovarsi a camminare da sola tutto il tempo in territorio sconosciuto, su terreno a volte sconnesso, con la sensazione che se ti fai male nessuno ti puo’ aiutare non e’ entusiasmante, ma alla fine arrivo in un posto che meritava ben piu’ di qualche ansia. Un’ansia a cui di notte si aggiunge l’immancabile e implacabile vento che fa scricchiolare in maniera inquietante gli alberi sotto cui sono accampata. Per capire quest’ansia dovreste vedere la moltitudine di tronchi caduti e rami rotti che copre il terreno circostante, molti dei quali non giacciono li’ da piu’ di qualche giorno! La seconda giornata tutto bene, al punto che decido di unirla al terzo tratto, visto che non e’ molto lungo. Sembra un’ottima idea, fino a che il sentiero che attraversa la costa pietrosa della montagna entra nel bosco. La guida dice, letteralmente “…fino al congiungimento con un sentiero, scarsamente indicato, nella foresta”. E’ vero, e’ proprio cosi’, il sentiero e’ male indicato, significa che sono sulla strada giusta. O forse no?! Dopo dieci minuti di acrobazie per scavalcare alberi dal tronco ritorto che corre parallelo al suolo, su un pendio tanto scosceso da avere difficoltá a stare in piedi con la massa ingombrante della zaino, mi rendo conto che questo NON PUO’ ESSERE UN sentiero, per mal segnato che sia! Tornare indietro sembra una follia e, visto che almeno la direzione e’ certa, decido di proseguire. Scendere a valle fino al torrente e’ un rischio, perche’ in questa parte credo scorra in gola e temo di non riuscire a risalire. Le giornate sono lunghe, c’e’ luce fino a mezzanotte, prima o poi il bosco finira`… Ma sembra essere un poi sempre piu’ distante. Sono stanca, avanzare si fa sempre piu’ difficile, tra alberi e fango, scivolo spesso, cado, mi rialzo, lo zaino si impiglia… Non so quanto tempo va avanti tutto questo. Il tempo e’ davvero relativo e capirete che a me in questo frangete e’ sembrata un’eternita’. Su tutto, l’inquietudine di essere da sola e la poca speranza di incontrare qualcuno. Finalmente, quando sto quasi per decidere di tornare indietro, incontro il benedetto sentiero. Che sara`anche mal segnato, fangoso, pieno di tronchi e deviazioni, ma mi sembra un’AUTOSTRADA! Il sollievo e l’adrenalina sono tali che la stanchezza svanisce, comincio quasi a correre, voglio uscire da questo groviglio di alberi con l’artrosi e di fango. Non potete immaginare la gioia di trovarmi, dopo una mezz’ora, fuori dagli alberi, davanti ad un paesaggio bucolico di pascoli, margherite, luce, e in lontanaza il mare, la meta chiara ed inequivocabile. All’uscita del bosco uno dei rari paletti segnaletici gialli indica, inutilmente, che quello era il sentiero. Si’, ma adesso? La direzione e’ chiara, ma c’e`un cancello ed una staccionata che impedisce il passaggio. La guida lo segnalava e diceva di prendere il sentiero erboso in mezzo ai cespugli di calafate e di margherite in direzione sud-ovest. Peccato che in direzione sud-ovest ci sia il bosco a picco sul torrente e che il detto sentiero punti chiaramente a nord-est! Potrei pensare che mi sbaglio, ma sono le 8 di sera e anche se il sole e’ ancora alto, l’ovest e’ ben chiaro. Poi c’e’ il mare, che è a sud! “Forse il sentiero erboso inizia per di qua poi gira a sud-ovest” penso, e mi incammino. Dei paletti gialli, quando ti servono, neanche l’ombra. Il sentiero si suddivide in centinaia di piccoli camminamenti tra i cespugli, ciascuno dei quali potrebbe essere quello giusto. Continuo a camminare scavalcando tronchi caduti o girandoci attorno, tutto sommato abbastanza tranquilla perche’ la direzione piu’ o meno sembra giusta. Fino a che arrivo al proseguio della staccionata. Non mi viene neanche in mente di scavalcarla, c’è del filo spinato, e se ci sono dei cani? E’ chiaramente un pascolo. E poi la guida non diceva di entrare nella proprieta’ privata. Il recinto abbraccia un’area immensa. Lo so perche’ cammino ore avanti e indietro alla ricerca di un varco. Inutilmente. Sono stanca e frustrata. Sono vicina alla meta, non manca piu’ di un’ora e mezza di cammino, ma non so dove passare! Torno varie volte al famigerato cancello. Leggo e rileggo la guida. E mi do per vinta. Decido di fare campo qui, tanto avevo previsto tre giorni e cosi’ sara´. Domani, a mente fresca, vedro’ le cose diversamente. Il posto e’ di una bellezza incredibile, se non fosse per questo senso di totale incapacita` potrei toccare il cielo con un dito. Consumo la mia parca cena, centellinando l’acqua, che comincia a scarseggiare, e vado dormire presto. Il giorno dopo mi sento ottimista, decido di risalire piu’ a monte che posso, sul fianco della montagna, per incontrare “il passaggio a sud-ovest” anche se sto andando esattamente in direzione contraria. Fa caldo. Dopo un’ora, mi ritrovo di nuovo davanti al recinto. Ho troppa sete ed ho finito l’acqua. Torno indietro e mi avventuro verso il torrente (a SUD- OVEST) anche se il pendio e’ piuttosto ripido e sdrucciolevole. L’obiettivo e’ l’acqua, ma penso che se le sponde fossero percorribili potrei seguire il fiume verso valle! Arrivo all’acqua e la soluzione non mi sembra praticabile. Faccio per risalire, decisa ormai a sfidare la sorte e intrufolarmi nella proprieta’ privata, quando, per puro caso, mi accorgo che poco a valle il bosco si apre su quello che e’ chiaramente una distesa erbosa, con cespugli di calafate e margherite, verso sud-ovest! Felice per la scoperta e maledicedomi per non averla fatta ieri, comincio a cercare il benedetto sentiero. Non lo trovo, ma non importa, proseguo per i pascoli. Sono chiaramente all’interno della tenuta, come segnalano i numerosi cavalli. Mi armo di bastone e sassi in caso di incontri con i cani e vado avanti. Arrivo all’altro cancello segnalato dalla guida, con cani legati alla catena, come segnalato dalla guida, piego verso la strada a poche centinaia di metri, come segnalato dalla guida, ma un paio di cani dall’aspetto feroce, come NON SEGNALATO DALLA GUIDA, mi sbarra la strada. Torno sui miei passi e provo a seguire quello che sembra un sentiero, passando sopra e sotto infinite staccionate, sempre in allerta per il pericolo cani. Dopo un po’ ricominciano ad apparire i paletti gialli, a circa mezz’ora dalla fine del sentiero! Non siate tratti in inganno. Questo era un trekking DAVVERO FACILE. Volendo si faceva anche in un giorno. Ma io l’ho vissuto cosí e vi assicuro che non ho esagerato, anzi forse ho ridimensionato un po’ il senso di smarrimento (in tutti i sensi!) che ho provato. Con il senno di poi, sarebbe bastato scavalcare subito la staccionata. E’ quello che avrebbe fatto chiunque, quello cha hanno fatto i pochi con cui poi ho parlato che avevano percorso il sentiero. Facile, quasi banale. Ora pero’ so che niente e’ banale quando sei da solo in certe situazioni, quando ti manca il parere di un altro, o una battuta per sdrammatizzare. E’ con questa nuova consapevolezza che mi accingo a intraprendere il trekking di Torres del Paine. Faro’ la doppia W di 5 giorni, e non il circuito di 7. Perche’ non sono allenata, certo, perche’ ho un’attrezzatura che pesa molto, ma soprattutto perche` la doppia W e’ molto piu’ frequentata e non voglio neanche pensare alla possibilita` di trovarmi di nuovo in certe situazioni, anche se qui tutto e’ ben segnalato! Neanche a dirlo, di sottofondo pensate a ruscelli, pendii erbosi, cascate, laghetti, cime innevate… (roccia nere,fango, e tronchi, tronchi, tronchi, tronchi…!)

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