LA CONCLUSIONE

Meglio tardi che mai… a grande richiesta, le ultime impressioni della mia lunga avventura terminata (meglio dire “sospesa”) più di un mese fa.
Avete ragione, non potevo lasciarla incompleta!

OUTBACK
E’ la parola australiana per entroterra, ma piu’ che indicare le zone lontane dalla costa, serve a connotare territori desertici o semi-desertici, remoti, desolati, piantati nel bel mezzo di niente, dove l’uomo è arrivato per motivi che solo la storia puo’ spiegare, riandando ai tempi in cui si cercavano oro, gemme, carbone o altre risorse, perche’ a vederli oggi ti viene veramente da chiederti che cosa diavolo possa venirci a fare uno qui, a meno di non esserci nato… Però, come per la sconfinata desolazione di certa Patagonia argentina, l’Outback ha il suo fascino e non si puo’ dire di aver visto l’Australia senza averne visitato almeno un pezzettino.
Perciò, di ritorno da Fraser Island, partite Rosa Rita e Paola, io e Silvia ci organizziamo per un giro dell’interno, decise a sfidare finalmente, con auto a noleggio, il rischio della guida a sinistra e la famigerata pericolosita’ delle strade australiane. A sorpresa, all’ultimo minuto, si aggiunge anche Claudio, visto che un’allerta meteo lo costringe per diversi giorni in marina, quindi tanto vale approfittarne. Il programma e’ un po’ vago e prevede una puntata verso parchi lussureggianti, ma anche verso i suddetti paesaggi desolati e desertici, oltre, ovviamente, alla speranza di incontri ravvicinati con la fauna locale che finora si e’ fatta desiderare.

IL VIAGGIO
Comincia così l’avventura di questo terzetto stranamente assortito, nato per caso, all’insegna del poco tempo rimasto, voglia di vedere tanto, possibilità di spendere poco, idee molto confuse. La migliore delle ricette! Alla fine, come capita spesso, più ancora delle cose che abbiamo visto, il bello è stato proprio la modalità del viaggio, il cui carattere disorganizzato e spartano è andato aumentando mano a mano, più per una sorta di gioco che ha preso un po’ la mano a me e Silvia, che per necessità oggettiva. Lo confesso, ci siamo divertite a fare cose innominabili per risparmi irrisori, salvo poi andare a sprecare scioccamente molto più del risparmiato! Capita così che, ripercorrendo quelle due settimane “on the road” pensiamo forse con più nostalgia alle monoporzioni di peanut butter di cui ci riempivamo le tasche quando facevamo colazione da McDonald’s (ha il wi-fi gratuito) – assicurandoci così la colazione del giorno dopo – che non al ricordo di certi paesaggi mozzafiato! Cosa ne pensasse il comandante non l’ho mai veramente capito, ma a terra il suo grado contava quanto il nostro ed eravamo due contro uno, forse per questo stava al gioco, fin tanto che non esageravamo. Uomo di infinte risorse, ci ha salvato la cena una sera in cui avevamo comprato, una tantum, delle succulente bistecche da cuocere in una delle immancabili piastre elettriche per il barbecue che lo stato del Queensland (altrove non saprei) mette a disposizione dei cittadini in ogni giardinetto pubblico, anche nel paesino più piccolo e sperduto. Proprio nell’unica sera in cui ci siamo lasciate andare a questo “costosissimo” pasto, incappiamo nell’unica piastra che non funziona! Ormai la confezione è stata aperta, non possiamo buttare la carne, come si fa? E’ quasi buio, impensabile guidare fino al prossimo paese (qui non si guida di notte, scoprirete poi perché)… Ecco allora che Claudio appronta un estemporaneo spiedo fatto con la lama che è nascosta nel suo bastone da passeggio e accendiamo un fuoco furtivo in un angolo riparato alla vista dalla strada da un mucchio di ghiaia.

Foto spiedo

Cuocendo furtivamente la cena


Ci sentiamo un po’ “illegali” non sappiamo se sia lecito o meno quello che stiamo facendo. Silvia, intimorita per eventuali brutti incontri, rimane chiusa in macchina, mentre Claudio fa girare lentamente il suo spiedo con la pazienza che solo un navigatore può avere. Ad ogni auto che rallenta e ci illumina con i fanali, un sobbalzo. Sarò un malintenzionato? Se ne sentono di tutti i colori sui pazzi manianci che infestano le strade dell’outback australiano… O sarà la polizia? Il nervosismo aumenta, la carne non cuoce mai, non sappiamo più se è divertente oppure no! Nel ricordo di sicuro lo è, ma soprattuto è DELIZIOSA, nella realtà, la carne sbocconcellata un po’ fretta in macchina prima di andare a cercare un posto per la notte. E qui viene il bello! Nel posto in cui ci siamo fermati, non c’è da dormire. Siamo costretti a passare la notte in macchina. Ma in tre, in una berlina, come si fa? Semplice: due davanti, sui sedili reclinati, e uno dietro, nel portabagagli! Non ridete, è proprio così e l’uno poteva essere solo uno, maschile singolare, quello che ha avuto l’idea. Parcheggiamo la macchina vicino al giardinetto di prima, dotato, come tutti, di bagni puliti e funzionanti, e ci sistemiamo per la notte, cercando di non farci vedere.
Ho dormito poco o niente (secondo me era molto più comodo il bagagliaio!), ma, nessun grand hotel avrebbe potuto darci l’emozione di quel senso di piccola, innocua trasgressione (non è mica proibito dormire in macchina, chi può dirci nulla?), il prepararsi furtivi, lo sgattaiolare di Claudio nel baule, le battute, le risate nell’immaginarsi scene di polizia che arriva, lo apre e ci trova qualcuno dentro, lo svegliarsi alle prime luci, fare su tutto e “scappare” via, a chi tocca guidare stamattina? Appena svegli non è facile ricordarsi di stare di mano a sinistra, a sinistra, STAI A SINISTRA…! Anche stavolta è andata!

ON THE ROAD
Proprio, così, si guida a turno e non so bene se soffro di piu’ quando tocca a me o quando guidano gli altri, preda di un’insolita apprensione che non mi conoscevo. Sara’ che le strade, pur strette e non sempre in buone condizioni, invitano a correre con i loro rettilinei infiniti, e gli enormi autoarticolati sembrano farti ogni volta il pelo. Per fortuna ci limitiamo alla guida diurna, dato che TUTTI sconsigliano di proseguire dopo il crepuscolo, ora in cui saltano fuori in gran numero i CANGURI. Di fatto le centinaia di chilometri percorse ci hanno persuaso della validita’ di tale consiglio. L’ATTRAVERSAMENTO CANGURI, il cui cartello giallo di avviso fa tanto “folklore australiano” per il turista medio, e’ un evento frequentissimo e pericoloso, come dimostrano le centinaia di carcasse (non esagero) che punteggiano le strade.

foto canguro investito

Il primo canguro avvistato, putroppo

In tutta la mi vita di automobilista non credo di aver visto tutti insieme tanti gatti, cani o altri animali travolti dalle auto quanti ho visto canguri in pochi giorni di viaggio! D’altra parte, se e’ vero che che ci sono piu’ canguri che persone non c’e’ da meravigliarsi. Pensare che quando siamo partiti eravamo tanto ansiosi di vederne uno che al primo che abbiamo scorto, semi spappolato al bordo della strada, ci siamo fermati per fare una foto(!), ignari del fatto che sarebbe diventata una vista piu’ che consueta e che, ben presto, ne avremmo visti a iosa di vivi, anche da vicino.
canguro con piccolo

Mamma con piccolo al parco di Carnarvon

In effetti gli animali AUSTRALIANI cominci col vederli innanziutto sui cartelli che ti avvisano del loro attraversamento. Uno addirittura diceva qualcosa come: “attenzione, presenza in carreggiata pulcini di […] (non ricordo il volatile) che imparano a volare”! Ma di animali vi parlerò più avanti. Torniamo alla strada, nell’Outback. Tutto come da mitologia australiana: strade interminabili, insediamenti umani scarsi e improbabili, come STAMFORD, con tanto di cartello e punto bello grosso sulla carta stradale, una casa che conta ben 3 ABITANTI, tutti assenti quando ci fermiamo per cercare un ristoro, dopo chilometri di nulla, nella pia illusione di trovare almeno una stazione di servizio e un bar. MAI rimandare il pieno al prossimo distributore! L’abbiamo fatto una volta e ci è andata bene, benedette auto giapponesi che consumano poco e benedetto il tratto di strada in discesa/falso piano, che portava alla stazione di servizio!
Le strade sono lunghe e monotone, i cartelli che ti mettono in guardia dalla stanchezza per noia si ripetono fino alla noia… DON’T SLEEP AND DRIVE! Pensavo che ci cartelloni dissuasori scemi li avessimo solo in Italia… Il fondo stradale è abbastanza buono sulle strade principali, ma sono poche e costringono a giri lunghissimi. Eventuali “tagli” ti portano inevitabilmente su strade mal messe o proprio non asfaltate.

Ruota a terra nel bel mezzo del nulla

Ovviamente noi non ci facciamo spaventare e ci rimettiamo una gomma che scoppia nel bel mezzo del niente più assoluto, sotto un sole cocente. DA MANUALE!
L’arido paesaggio bruciato dal secco sole invernale si estende per chilometri di pianura sconfinata e in un posto così secco ti sembra ASSURDO vedere di continuo segnali che allertano sulla possibilità di inondazioni e interi tratti di strada fiancheggiati da IDROMETRI! Con le piogge estive qua metà della strada diventa un guado, negoziabile solo con fuoristrada dotati di presa d’aria superiore. Ma ora è inverno e, gomma a parte, la nostra berlina TOYOTA CAMRY ASTISA se la cava benissimo, ancora meglio ora che sappiamo di poterci contare anche come alloggio, in caso di necessità!

ANIMALI e PIANTE
A forza di vederli sui cartelli è inevitabile cominciare a sperare di incontrarli, i koala, i canguri, le casuarie, o ad evitarli (le meduse, gli squali, i coccodrilli). “Cavoli che bello!” pensi, se ci sono tanti cartelli con i KOALA li vedremo prima o poi. Li vediamo POI, canguri a parte, solo allo zoo di un giardino botanico. I Koala, bellini, teneri, sonnolenti, con il fascino un po’ appannato di tutti gli animali in cattivita’. Forse pero’, dovrei dire di QUASI TUTTI gli animali in cattivita’, perche’ lo stesso zoo ci sorprende piacevolmente con un animale che sembrava ormai per noi un essere mitologico o una specie di “sarchiapone” australiano: la CASUARIA.
Il fatto e’ che nella mia ignoranza non ne avevo mai neanche sentito parlare prima di venire in Australia e neppure mi incuriosiva piu’ di tanto, fino a quando arriviamo nella zona di Whitsunday, dove iniziano in veri tropici australiani, che la guida ci informa ospitare la piu’ numerosa popolazione di CASUARIE.

Attenti alle casuarie

Ma che stazza hanno queste casuarie?

I cartelli stradali non fanno che chiederti di rallentare, alcuni, assolutamente poco credibili, ti spaventano con il disegno stilizzato di una macchina che tampona un uccello più grande della stessa macchina. Facciamo un giro nel parco in cui, secondo la guida, è quasi impossibile non vederli, ma del fantomatico uccello scorgiamo solo quelle che supponiamo essere le deiezioni, e che in effetti per dimensione e quantità dovrebbero preavvisarci sulla stazza dell’animale.
Casuaria in cattività

Non esattamente un uccellino

Ciò nonostante non crediamo ai nostri occhi quando, allo zoo, scorgiamo la prima casuaria, uccello enorme (più dello struzzo), dalle piume che sembrano pelo, tra il nero lucido e il blu, con il collo turchese un barbaglio rosso vivo e una strana cresta grigia dall’apparenza cornea. Ha uno sguardo fiero, direi quasi altero e rimaniamo a guardarlo a lungo, scattando foto a raffica. Non vorrei davvero immaginare la mia macchina che ci finisce contro!
Piano piano spuntiamo sempre più voci nella nostra check list degli animali da vedere: canguri e wallabies, fatto; Koala, fatto; Casuaria, fatto; Goannas, fatto e per di più in libertà, al parco delle gole di Carnarvon; Ornitorinco, FATTO!!! La prospettiva di vedere lo schivo animaletto ci ha guidato fino alla bella foresta pluviale di Eungella e non siamo rimasti delusi. E’ grazioso e simpatico, ma molto più piccolo di quanto si immagini. Ma ci ha fatto venire in un bel posto, dove camminiamo lungo ruscelli che si snodano tra la vegetazione lussureggiante, mentre ci meravigliamo ad ogni piè sospinto delle fantastiche e incredibili forme che la vita può assumere nel mondo vegetale. Impressionante il fico strangolatore, IMMENSO, che ha completamente coperto e ucciso la pianta che lo ospitava, avvolgendola con le sue spire. Non ci facciamo mancare tuffi sotto le cascate, bagni in ruscelli idilliaci, chilometri e chilometri di camminate. Manca all’appello il coccodrillo, ma non ci piango su, sarà per la prossima volta.

IL RESTO
Non mi dilungo più. A che serve una lista di cose viste? Se sono riuscita a farvi capire anche solo un po’ il gusto strano di questo viaggio, ho ottenuto il mio scopo. Per belli che siano i posti, per me conta come ci arrivi e come li vivi, per tutto il resto c’è Internet. Sono successe tante cose in questi quindici giorni, piccoli dettagli insignificanti che hanno dato un sapore speciale al tutto, ma che raccontati singolarmente non avrebbero nessun significato. Di bei paesaggi, tramonti di fuoco, stupore e meraviglia, ormai avrete le tasche piene. Il gusto di una doccia “scroccata” ad un campeggio dopo che avevamo dormito in macchina, non si può raccontare! Grazie a Silvia e Claudio per la compagnia, a Claudio per la pazienza, non so quanti altri ci avrebbero sopportato…

DI NUOVO A BORDO
Silvia è partita, restano una decina di giorni per portare l’Andromeda il più a sud possibile e trovarle un ricovero per i due mesi in cui Claudio tornerà in Italia. Salpiamo appena possibile, il meteo ci è favorevole e ci inoltriamo nei complicati meandri del canale che separa Fraser Island dalla costa. Mi sento a casa! Bellissimo l’outback, il viaggio, i parchi, ma già mi mancava lo stare in barca e il NAVIGARE. Domani poi ci aspetta l’attraversamento della Wide Bay Bar, un passaggio considerato tra i dieci più difficili d’Australia. Ancoriamo a Pelican Bay, proprio lì vicino, pronti per fare il balzo domani mattina, dopo aver consultato la guardia costiera per avere i punti di navigazione precisi (waypoint) da seguire per attraversare il canale invisibile tra banchi di sabbia sommersi. Le correnti in entrata e uscita dalla baia che si incontrano (scontrano!) su questi banchi formano onde spaventose che frangono con violenza e in mezzo a questo onde dobbiamo passare, pena il naufragio, evento non raro in questo passaggio. Dobbiamo sfruttare l’orario giusto di marea. Comunichiamo alla guardia costiera la nostra partenza. Ci pregano di avvisarli quando saremo passati indenni e solo questo mi mette già un po’ di paura addosso. Indispensabile tenere la rotta con estrema precisione. Il tempo è brutto, l’allineamento in costa su cui contavamo è reso invisibile dalla nebbia, ci affidiamo al GPS e all’esperienza insostituibile di Claudio che corregge immancabilmente la rotta sempre qualche secondo prima che io gli dia l’indicazione. I “sensori umani” come dice lui, restano lo strumento più affidabile. Tra avvicinamento e passaggio sono due ore di tensione continua. Raggiungiamo il primo waypoint, tutto bene, ma si comincia a ballare. Il secondo, proprio nel bel mezzo del mare che si agita convulsamente ai nostri lati, il terzo, ormai siamo fuori, la profondità cresce, a 17 metri sappiamo che possiamo considerarci fuori pericolo. Tutto bene, battiamo il 5 e ci allontaniamo con sollievo dalle onde ruggenti verso il mare aperto. Il vento ci è amico, issiamo le vele e ci godiamo uno stupendo giorno di navigazione, tra sole, pioggia, arcobaleni che sembrano finti, piccolo di show di balenottera che gioca davanti a noi, costa multicolore su interminabili spiagge bianche. E’ uno spettacolo già visto altrove, ma ce lo siamo guadagnato e ce lo godiamo tutto, poi è uno degli ultimi che vedrò. Fra pochi giorni si parte. Non ci credo. Non voglio pensarci, non voglio fermarmi, non voglio TORNARE! Cinque mesi sono tanti, non ti sei stufata, mi chiede qualcuno? A chi ti fa una domanda del genere come puoi spiegare che questo è stato solo un assaggino, che sono già lì che penso a come e quando e per quanto a lungo potrò tornare a navigare? Che vorrei passarci la vita in barca? “Non credere, prima o poi ti stancheresti anche tu…” Può darsi, ma diciamo così: fatemici arrivare a stancarmi, e sarò contenta di darvi ragione!

RINGRAZIAMENTI
D’obbligo, ma soprattutto di cuore e rigorosamente non in ordine di importanza: a Claudio per avermi preso a bordo nonostante la mia inesperienza, avermi insegnato molto senza dare l’impressione di farlo, per avermi fatta sentire utile, aver perdonato i miei errori e aver promesso che posso imbarcarmi di nuovo quando voglio! A Paola e Rosa Rita che mi hanno accettato quasi come una di famiglia, riuscendo a non farmi sentire “di troppo” anche in uno spazio così ristretto. Silvia, che ha inaspettatamente dato una piega diversa alla vacanza e mi ha regalato l’enorme soddisfazione di poterla introdurre ad un modo di viaggiare diverso dal consueto, che spero le abbia aperto nuove prospettive. Rodolfo, altro navigatore oceanico, che non ho mai nominato, ma a cui va il merito di avermi indicato la rotta per questa bellissima esperienza, dandomi i contatti giusti, convincendomi che era fattibile. Ha scritto un bellissimo libro sul suo giro del mondo in barca a vela, con dentro tante emozioni e considerazioni che avrei voluto raccontarvi io, ma non ne sono stata capace. Il titolo è “Il mediterraneo lasciato a poppa”, editore Il Frangente. Se lo leggete forse capirete.
Infine alla mia stupenda famiglia allargata che mentre io navigavo e parlavo di andare a vivere in barca e di non voler tornare, ha speso tempo ed energie per costuire un bel nido comune in montagna dove ritrovarci tutti insieme, buttando altra terra su quelle radici che nonostante tutto faccio ancora tanto fatica a staccare e dando un senso ai miei ritorni.

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